L’Isis all’Onu

Non infieriamo sul governo in questa situazione

In una fase drammatica della situazione internazionale e con un quadro geopolitico tanto mutato persino rispetto agli sconvolgimenti del 1989, soprattutto in medio oriente, non abbiamo ritenuto opportuno esprimere in modo aspro la giusta critica che il governo italiano si sarebbe meritato. In poche ore questo ha dimostrato di non capire niente di cosa stesse succedendo. Non che ci stupisca, se il premier è assorto nel voler imporre a colpi di maggioranza una riforma della costituzione che nelle democrazie ordinate è esclusiva prerogativa del Parlamento, o altrimenti, di una Assemblea costituente. Renzi non ha pensato che tutto potrebbe non finire con lui, e twitta felice di avere finalmente la sua riforma, magari alla faccia dei gufi e dei sorci verdi, mentre l’Italia rischia la guerra. E a dire il vero la guerra c’è già perché quando ci sono trecento morti a poche miglia dalle nostre coste e migliaia di persone di altre nazionalità si rifugiano nei nostri centri di accoglienza che sembrano carceri, si è già in situazioni di guerra. Per questo era quasi comprensibile che il ministro Gentiloni e il ministro Pinotti alla notizia che l’Isis avesse conquistato Sirte e iniziato allegramente a tagliar teste, si mettessero a parlare di un intervento italiano, autorizzato dalle autorità internazionali. Peccato che il ministro degli Esteri e quello della Difesa prima di lasciarsi andare a considerazioni estemporanee, avrebbero fatto bene a parlare con l’intero governo, le autorità internazionali, gli alleati per poi riferire in Parlamento. In Parlamento andranno domani e solo ieri sono riusciti ad avere un qualche quadro delle intenzioni dei paesi occidentali e delle nazioni unite, senza le quali l’Italia non è in grado di muovere un passo, né un aereo, visto che i nostri piloti oramai vanno direttamente a sbattere uno contro l’altro, come è successo l’estate scorsa. Per cui, archiviamo le parole di sen fuggite ai nostri ministri dilettanti e atteniamoci ai fatti. Mentre in Italia ci si metteva a cercare di capire cosa succedesse in Libia, l’Egitto che per fortuna, è tornato in mano ai militari amici di Mubarak, ha subito bombardato le postazioni dell’Isis a Sirte, tanto che gli islamisti si sono dovuti ritirare dalla città. Questo non pregiudica la loro capacità di rappresentare una minaccia seria, ma significa che al momento se gli tiri due bombe addosso quelli sloggiano. Forse anche considerando questa situazione di debolezza dell’Isis in Libia, il consiglio di Sicurezza delle nazioni unite ha preferito rilanciare la missione diplomatica in Libia di Bernardino Leon che il nostro ministro degli Esteri aveva già giudicato, a ragione fra l’altro, fallimentare. La speranza dell’Onu è che di fronte all’Isis i signori della guerra in Libia si mettano d’accordo fra loro per combatterla. Può anche essere, come potrebbe essere, al contrario, che finiscano con il sostenerla. In ogni caso l’Italia non si metterà l’elmetto in testa e non da sola. Per cui per ora continuiamo ad affidarci alla missione diplomatica, sperando di non ritrovarci la testa del buon Leon rispedita al mittente come a momenti accadde con quella dell’ambasciatore statunitense Stevens due anni orsono.

Roma, 18 febbraio 2015